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MILAN, MODELLO AL CONTRARIO: QUANDO LO SCUDETTO È UN INCIDENTE DI PERCORSO

Dalla proprietà alla dirigenza, dall'allenatore ai giocatori: dentro la profonda crisi del Milan campione d'Italia

Sembra passata un’era geologica da quel 22 maggio 2022, quando sotto il cielo di Reggio Emilia il Milan si laureava campione d’Italia. Un successo inaspettato, contro ogni pronostico, frutto di un lavoro collettivo senza eguali in Serie A. Tutto lasciava intendere che fosse arrivato quel click che avrebbe riportato i rossoneri ai vertici del calcio italiano, perlomeno in pianta stabile. Una mera illusione, evidentemente. Già, perché al 7 febbraio 2023, la squadra di Stefano Pioli ha già stabilito un record di figuracce con il tricolore sul petto: fuori dalla lotta scudetto, fuori agli ottavi di Coppa Italia e umiliazione in Supercoppa Italiana contro l’Inter.

Un mese da incubo, quello di gennaio, che ha fatto emergere tutto il “marciume” che, in realtà, si è ben nascosto nella prima parte di stagione. O, per meglio dire, che emergeva solo a piccoli sprazzi. Perché se tutti erano felici delle vittorie contro Empoli, Spezia o Fiorentina, pochi forse notavano l’enorme affanno con cui erano arrivate. Perché sul palcoscenico europeo, il Milan è stato ridicolizzato da una delle versioni peggiori del Chelsea degli ultimi anni. Eppure tutti felici, perché alla fine la qualificazione agli ottavi di Champions League è arrivata. Tanti piccoli sintomi, che hanno portato all’esplosione della malattia: precisamente, dal minuto 87 del match con la Roma, dopo il gol di Ibanez. Da quel momento, ogni singolo nodo è venuto al pettine. E racconta di un progetto fallimentare, che rischia di crollare sulle sue stesse fondamenta. Rendendo lo scudetto un mero “incidente di percorso”.

Gerry Cardinale e Paolo Maldini
Gerry Cardinale e Paolo Maldini

Milan, proprietà nuova, vita vecchia: il bilancio va oltre il risultato

Qualcuno non ha mai avuto l’accortezza, o forse il coraggio, di insospettirsi. Eppure, tutto sembra ora trovare un senso. Perché una proprietà fresca di un successo inimmaginabile, dovrebbe decidere di cedere in fretta e furia le quote di maggioranza della società? Un quesito che, ad oggi, molti tifosi del Milan faticano a risolvere. Ma che, inevitabilmente, non può passare inosservato. Ma all’epoca, in molti pensavano che la strada, in virtù di un tricolore appena conquistato, potesse essere in discesa. Eppure, già da allora i primi timidi segnali che qualcosa non andasse si erano palesati, senza attendere troppo.

L’imbarazzante tira e molla tra Paolo Maldini, Frederic Massara e Ivan Gazidis sul rinnovo nascondeva qualcosa di molto più forte, perché se non sussistono dubbi su un progetto che ha appena dato alla luce uno scudetto, la firma dovrebbe arrivare in un battito di ciglia. E alla fine sì, è arrivata. Ma a fine giugno, con un mercato di fatto già compromesso. E quei potenziali dubbi che potevano balenare nella mente dell’area sportiva, ora sono fuoriusciti tutti a cascata. La totale estraneità all’ambiente Milan di Gerry Cardinale fa da eco a quella del fondo Elliott. L’assoluta non curanza delle esigenze tecnico-sportive del club attraversa tanto il vecchio, quanto il nuovo management. Basta guardare il modo in cui è stato condotto l’ultimo mercato invernale, nonostante le numerose lacune e defezioni nella rosa di Stefano Pioli. Tutto in nome dell’unica priorità: il bilancio in positivo. Per carità, un’esigenza non da trascurare. Ma non può essere l’unica esigenza di un club di calcio. Per giunta se ha una storia e un appeal come quello del Milan.

Stefano Pioli, Milan
Stefano Pioli, Milan

Una crisi senza appello: da Maldini a Pioli, tutti sono colpevoli

La nefasta crisi che rischia di rigettare il Milan nel limbo della mediocrità sembra mettere d’accordo chiunque: nessuno è innocente, tutti sono colpevoli. A partire proprio da quell’area sportiva, a cui rispondono le figure di Paolo Maldini e Frederic Massara. Per molti, tra i veri artefici del miracolo scudetto. Ma, alla stregua dei fatti, incapaci di dare nuovo smalto a una rosa che, nonostante il tricolore, presenta lacune enormi ed elementi inadeguati a indossare una maglia così pesante. Il risultato, alla fine, parla da sé: 3.533′ totalizzati dai nuovi innesti, di cui la maggior parte da quel Charles De Ketelaere, fino ad ora, pesce fuor d’acqua. E per cui sono stati spesi oltre 30 milioni. In più, stride parecchio la mancata sostituzione di Franck Kessie, lasciato andare a cuor leggero, e la cui assenza oggi si fa sentire enormemente.

Pian piano, si scivola verso gli altri colpevoli di questo marasma. E non può non essere citato Stefano Pioli. Che da on fire si avvia verso un epilogo da fired. Che sembra totalmente in balia della sua confusione. Lo scempio tattico proposto nel derby contro l’Inter è stato il De profundis del piolismo, la rinuncia alla propria identità per manifesta inferiorità. Un’accozzaglia di giocatori schierati in posizioni del tutto casuali (Messias mezz’ala…) che non ha in alcun modo dato spiragli di ripresa. Per non parlare della presunzione con cui si sta rinunciando a cuor leggero a Rafael Leao, eletto a maggio miglior giocatore della Serie A e patrimonio di inestimabile valore del Milan. Fino ad arrivare alla testardaggine nel puntare su elementi che hanno ormai fallito tutti i loro bonus: da Tatarusanu a Gabbia, fino ad arrivare a Kjaer e Messias. Mai messi in discussione, elevati a titolari per mettere a sedere volti quasi mai visti, come Adli, Thiaw e Vranckx.

Infine, non si può lasciar da parte anche l’atteggiamento vergognoso dei giocatori in campo. Che non sembrano curanti delle figuracce date in pasto ai tifosi del Milan. Quasi ad aver dimenticato di portare uno scudetto sul petto. Ma su questo, mai come ora tornano d’attualità le parole di Sandro Tonali dopo la gara di agosto contro l’Atalanta: “Non ci sentiamo diversi, ma dobbiamo capire che è un altro campionato. È un momento difficile fuori dal campo, dobbiamo essere bravi a lasciare da parte tutto, guardare solo a noi e al Milan. Quando si vince uno scudetto si torna sulle ali dell’entusiasmo. Non c’era la concentrazione giusta, siamo partiti come se fosse la 39esima giornata”. Era la seconda giornata, e ovunque risuonava ancora Pioli is on fire. Eppure, adesso sembra una sinistra premonizione della catastrofe a tinte rossonere in atto.

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